Pianificazione territoriale: come controllare e prevenire un sistema fragile

Cercare di  plasmare  e controllare il territorio è una visione spesso ossessiva dell’uomo, quasi a voler  testimoniare la propria superiorità  sulla natura, aspettandosi che si inchini agli scempi che creiamo…invece essa stessa da risposte chiare e nette su ciò che dobbiamo e su ciò che non potremmo fare, bisogna quindi saper leggere i segnali, interpretarli e definire  gli assetti complessivi del territorio, utilizzando uno strumento, oggi a volte “ignoto”  ai  nostri amministratori, che è la Pianificazione Territoriale.

La pianificazione non è un processo standardizzato e meccanico, ma prevede una serie di azioni create ad hoc per un determinato territorio, in modo che si promuova  un suo ordinato sviluppo e si tengano in considerazione  i bisogni ambientali, fisici ed economici, che dovranno trovare armonia  tra loro.

I fattori di cui bisogna tener conto sono svariati, ma  tra i più importanti possiamo elencare  quelli fisici come il suolo, il clima,  la vegetazione  e le caratteristiche geologiche del territorio, pertanto ci si deve assicurare che tutti siano compatibili con il  processo  di trasformazione da attuare, che si rientri nei termini di sicurezza e che venga tutelata la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti umani.

Le attività di pianificazione si distribuiscono tra i diversi livelli di governo, attraverso un sistema gerarchico che passa dalla regione fino ai comuni. La prima legge sulla quale per molto tempo si è basato il rapporto tra i vari livelli di pianificazione è stata la nr.1150/42  (legge urbanistica nazionale).

Partendo dalle  regioni fino ad arrivare ai comuni,  vi sono una serie di  azioni  promotrici che riguardano la pianificazione, questa avviene attraverso i P.T.R (Piani di settore regionali),  P.T.C.P (piani di settore provinciali), fino ad arrivare ai P.R.G (Piano regolatore generale) e  ai Piani particolareggiati (PEEP, PIP) emanati dai comuni. Di grande aiuto è stato anche l’art.1, comma 44 (b), L. 56/2014 che attribuisce alla città metropolitana la funzione fondamentale della “pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano”.

All’interno di questa jungla di “Piani”,  promotrice a tutela del territorio è stata la legge nazionale  nr.183/1989 (Riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), poi modificata attraverso il decreto legislativo nr.152/2006, che ha suddiviso il territorio italiano in sette distretti idrografici  con la nascita attraverso l’art.12, delle  Autorità di Bacino, di cui la Regione Sicilia è stata sprovvista per quasi trent’ anni e solo da poco istituita. Il vergognoso ritardo fa capire come la Regione Sicilia abbia snobbato e sottovalutato  per troppo  tempo l’importanza di un controllo territoriale radicale, più volte  massacrato da abusivismo e infrastrutture non idonee,   dispiace ancor di più constatare che solo attraverso  le ennesime  vittime alluvionali delle ultime settimane,  ci sia stato un “risveglio di coscienza”.

L’attuazione di  tali leggi in materia di rischio idrogeologico e salvaguardia del territorio, vede la nascita del PAI (Piano di Assetto Idrogeologico).

Il PAI è lo strumento che contiene la valutazione delle condizioni di pericolosità idrogeologica del territorio e la sua salvaguardia, ha principalmente tre funzioni: conoscitiva (per studiare l’ambiente fisico e il sistema antropico), normativa e tecnico-operativa (che fornisce le metodologie d’intervento per la mitigazione del rischio, definisce l’importo finanziario per la realizzazione delle eventuali opere e definisce la distribuzione temporale degli interventi). Oggi analizzare e investire sul territorio è più che mai necessario, consente di capire la sua evoluzione e di attrezzarci in maniera adeguata in caso di eventi più o meno estremi, solo così potremo evitarci la consueta espressione di rito:  “era una tragedia annunciata, si poteva evitare”.

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